Bando di qualifica restauratore BBCC: si moltiplicano le voci dei contrari alla riapertura

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Ti dico: è un cavallo… o almeno ha le stesse competenze

In seguito al disegno di legge votato in parlamento per la riapertura del bando per l’acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali sono sempre più numerosi le voci che chiedono un ripensamento ai Ministeri della Cultura e dell’Università direttamente interessati. Si sono espressi criticamente sia autorevoli voci del mondo della cultura e della tutela come Giuliano Volpe e Pietro Petraroia, sia il mondo della formazione con il Comitato Nazionale per le lauree magistrali a ciclo unico in conservazione e restauro e il Consiglio Nazionale dei Direttori delle Accademie delle Belle Arti, così come le associazioni RSF e quelle del pubblico impiego ARCAP e API, che si occupano di tutela.

Oltre all’inadeguatezza dello strumento stesso – un articolo inserito senza consultare le associazioni di categoria in un disegno di legge, il DDL Semplificazione delle attività economiche – e al fatto che risulti in aperto contrasto con quanto precedentemente affermato dal Ministero della Cultura e confermato dalla sentenza del TAR sull’illegittimità della riapertura del bando, è soprattutto il principio della sanatoria permanente a generare sconcerto e opposizione. La procedura svaluta e svilisce una formazione universitaria/accademica rigorosa in cui tanti giovani hanno creduto e investito impegno, tempo e denaro.  Dalla sua prima pubblicazione all’elenco dei restauratori di beni culturali si sono aggiunti oltre 1500 nominativi quasi esclusivamente provenienti dai corsi di Laurea LMR02 ed equipollenti, per i quali questa legge è un chiaro messaggio: questo non è un paese per giovani e nemmeno per chi da fiducia alla legge.

I promotori dell’iniziativa sostengono che si tratti di un’operazione di merito e giustizia sociale, richiesto da più di 30 sigle associative, rivolto esclusivamente ai chi già all’epoca del primo bando era in possesso dei requisiti richiesti – si vedano le affermazioni della deputata Tassinari, FI. Al di là del fatto che rimangano ignote le ragioni per cui gli interessati non abbiano partecipato al primo bando, la premessa del possesso dei requisiti alla scadenza fissata dal bando originario viene prontamente contraddetta dall’ipotesi di una finestra temporale estesa fino al 31 dicembre 2018, ovvero ben quattro anni dopo il bando originario. In questo arco di tempo, evidentemente, tali soggetti hanno operato senza possedere i titoli richiesti, infrangendo di fatto la legge. È chiaro che i principi di merito e giustizia qui richiamati differiscono sostanzialmente dai nostri.

Sul fronte dei promotori dell’intervento legislativo vige un silenzio totale: i sostenitori dell’iniziativa – oltre 30 organizzazioni – preferiscono non esporsi, probabilmente per evitare di rendere palese quali interessi di lobby si celino dietro questa misura. Significativa, al contempo, l’assenza di pronunciamenti da parte di ANCE, Legacoop, CNA, Confartigianato, CGIL, CISL e UIL – solo per citare alcune delle organizzazioni che solitamente intervengono con fermezza sulle questioni del restauro.

Rimane invece del tutto inaccettabile il silenzio del MiC e del MUR. Come possono i Ministeri della Cultura e dell’Università aspettarsi che altri giovani intraprendano un percorso di studi che richiede cinque anni di impegno, oltre a ingenti risorse personali, se la normativa vigente viene sistematicamente aggirata attraverso logiche clientelari?

Se si tratti di una misura giusta e giustificabile, che abbiano la bontà di spiegarla e difenderla. Altrimenti, che diano seguito al loro compito istituzionale di tutela del patrimonio e della formazione universitaria e fermino questa ennesima sanatoria a danno della professione e soprattutto del patrimonio.

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